Il parigino by Isabella Hammad

Il parigino by Isabella Hammad

autore:Isabella Hammad [Hammad, Isabella]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2021-02-08T12:00:00+00:00


– Che cos’è successo? – chiese Teta.

– Ho bisogno di bere.

– Che cos’è successo?

– Non lo so. Non saremmo dovuti andare, è stata un’idiozia.

– Dov’è Jamil?

Midhat deglutí e si asciugò la bocca.

– L’hai lasciato là?

– No, Teta, c’era una massa di gente. Non puoi capire.

– Che cosa? Che cosa non posso capire?

– C’era una massa di gente, Teta! C’era… c’era… – Si sedette e si prese la testa fra le mani. – Se la caverà.

– Dobbiamo dirlo a Um Jamil.

– Perché farla preoccupare? Aspettiamo. Ancora un po’.

Teta lo fissò. Quell’«ancora un po’» significava darle ragione, e Midhat si alzò, conscio della propria sconfitta.

– Yalla, – disse.

Bastò uno sguardo alla faccia di Um Jamil per capire che doveva addolcirle la notizia. Al tavolo della cucina le donne lo bersagliarono di domande, e nella sua spossatezza ridusse quello che aveva visto ad alcuni fatti ed episodi coerenti: la massa, la moltitudine; il caldo, gli slogan; il ritrovarsi diviso da Jamil; la decisione, su cui insistette particolarmente, di seguire la folla per trovarlo, cosa che solo dopo capí essere impossibile; i discorsi, di cui non si ricordava quasi niente; il ritratto di Faysal; la fuga. Le due donne trattenevano il fiato come bambini a uno hakawati. Dopo un po’ Um Jamil alzò una mano per zittirlo e strinse le labbra. Midhat vide che cominciava a tremarle il capo e pensò che sarebbe stato meglio se non l’avesse interrotto, se gli avesse dato modo di correggere quello che aveva detto, frenare la sua fantasia. Ora che non doveva piú difendersi da Teta, si rendeva pienamente conto della cosa terribile che aveva fatto, abbandonando Jamil. Il suo stesso resoconto dei fatti, benché censurato, costituiva un rimprovero.

– Metto a bollire dell’acqua, – disse Teta.

Rovesciò un mucchietto di salvia secca sul tavolo, e Midhat staccò la prima foglia dal gambo. – Non è successo niente, ne sono sicuro.

Gli occhi di Um Jamil si gonfiarono di lacrime, che grondarono giú dalle rughe.

– Non è successo niente, – gli fece il verso Teta.

L’acqua bollí, il tè in infusione prese un color oro. Il petto di Um Jamil si alzava e abbassava a singhiozzo. Teta versò tre tazze, rovistò nella dispensa per prendere il pane e un barattolo di polpette di labneh sott’olio, e ne rovesciò qualcuna in un piatto. Midhat intinse lentamente il pane nell’olio, osservandone le peregrinazioni sulla ceramica.

Erano quasi le sette quando sentirono la porta che si apriva.

– Oh mama! – gridò Um Jamil.

Le sedie scricchiolarono. Jamil aveva un occhio pesto e un labbro spaccato, il colletto della camicia nero di sudore e sporcizia. All’improvviso afferrò il fianco di una credenza, come se l’avesse vista cadere.

– Oh, mio Dio, – disse Midhat.

– Sei qui, – disse Jamil.

Midhat provò a ribattere qualcosa. Con sgomento, scoprí di non farcela.

– Che cosa ti è successo alla faccia? – gli chiese Um Jamil.

– Mi hanno dato una gomitata, – rispose Jamil con una smorfia. – C’era gente che ballava. Dov’eri finito? Ti ho perso di vista, ti ho cercato da tutte le parti.



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